libero adattamento e riscrittura da 'Tre Sorelle' di A. Cechov
tre sole attrici ad interpretare tutti i personaggi
Questo progetto di Virus Teatrali è un corpo-a-corpo con uno dei drammaturghi e commediografi più importanti ed essenziali della storia del teatro, Anton Cechov.
Lavoro di riscrittura sul campo con esito finale una drammaturgia collettiva scenica: ‘TRE. Le Sorelle Prozorov’ è dunque Cechov anche senza essere del tutto Cechov.
"Questo progetto mi è particolarmente caro perché assieme alle attrici e alla mia assistente abbiamo voluto condivire una sfida intrigante e allo stesso tempo rischiosa: sceglierci reciprocamente e regalarci una disponibilità allo studio e alla pratica rarissimi in questo campo.
Per chi fa teatro, per chi si misura ogni giorno con il tentativo di dare vita, in scena, a qualcosa che abbia un senso (razionale, epidermico, carnale, visivo, estetico, concettuale o quale che sia) e che, appunto, riesca ad avere 'vita' e a ritrasmetterla, Cechov è un baluardo col quale, prima o poi, fare i conti.
Ma fare i conti con questo straordinario autore significa ingaggiare una lotta senza quartiere non solo con ciò che ha scritto ma ancor di più con il cosiddetto 'non detto' e, penso di poter aggiungere, col 'non scritto'.
E noi questo abbiamo provato e stiamo provando a fare.
Tra entusiasmi, dubbi, retromarce, avanzate spedite e tanta applicazione.
Applicazione creativa nel praticare una riscrittura drammaturgica collettiva e scenica (del nostro gruppo di lavoro composto da reparto registico ed attrici) con la quale riuscire nell'impresa di mettere in scena i tanti personaggi di quel testo con sole tre attrici.
Ma fare i conti con questo straordinario autore significa ingaggiare una lotta senza quartiere non solo con ciò che ha scritto ma ancor di più con il cosiddetto 'non detto' e, penso di poter aggiungere, col 'non scritto'.
E noi questo abbiamo provato e stiamo provando a fare.
Tra entusiasmi, dubbi, retromarce, avanzate spedite e tanta applicazione.
Applicazione creativa nel praticare una riscrittura drammaturgica collettiva e scenica (del nostro gruppo di lavoro composto da reparto registico ed attrici) con la quale riuscire nell'impresa di mettere in scena i tanti personaggi di quel testo con sole tre attrici.
Duttili, 'vere' ed intelligenti."
Virus Teatrali
"TRE. Le Sorelle Prozorov"
(liberamente tratto da 'Tre Sorelle' di A. Cechov)
drammaturgia scenica collettiva
adattamento - regia
GIOVANNI MEOLA
con
ROBERTA ASTUTI | SARA MISSAGLIA | CHIARA VITIELLO
ass.te alla regia
ANNALISA MIELE
foto di scena
NINA BORRELLI
NINA BORRELLI
ulteriori foto di scena
LINO VERDICCHIIO
LINO VERDICCHIIO
montaggio trailer
RAFFAELE TAMARINDO
durata | 70'
debutto | Febbraio 2018
trailer (1'55") | https://www.youtube.com/watch?v=dmmDXTZR7gQ&feature=youtu.be
Tre.
Le sorelle Prozorov.
In Cechov.
Tre allora e tre ora.
In noi.
Loro, solo loro, nonostante la folla di tutti gli altri personaggi.
Con un po’ di Irina in Masha e Olga e un po’ di Masha e Olga nelle altre due e tutte e tre ad esser le facce di uno stesso solido a più facce.
Come erano, come sono, come saranno.
Accompagnarle, affiancarle, ascoltarle.
E accompagnandole, scoprire, ricordare, riportare al cuore della faccenda.
Di allora e di ora.
“A Mosca! A Mosca!”: il mantra, il grido di battaglia, simbolo di un passato solidificato e bloccato nell’ambra della memoria paralizzante, simbolo di un futuro che si vorrebbe accadesse ma che evidentemente non accadrà.
Mai. O accadrà senza rendersene conto?
La potenzialità dell’accadere che non accade.
L’accadere che tradisce la potenzialità e accade.
Così, semplicemente.
Le tre sorelle sono in ciascuno di noi, nelle infinite sliding doors che le maschere del nostro quotidiano ci mettono costantemente davanti.
Le sorelle Prozorov.
In Cechov.
Tre allora e tre ora.
In noi.
Loro, solo loro, nonostante la folla di tutti gli altri personaggi.
Con un po’ di Irina in Masha e Olga e un po’ di Masha e Olga nelle altre due e tutte e tre ad esser le facce di uno stesso solido a più facce.
Come erano, come sono, come saranno.
Accompagnarle, affiancarle, ascoltarle.
E accompagnandole, scoprire, ricordare, riportare al cuore della faccenda.
Di allora e di ora.
“A Mosca! A Mosca!”: il mantra, il grido di battaglia, simbolo di un passato solidificato e bloccato nell’ambra della memoria paralizzante, simbolo di un futuro che si vorrebbe accadesse ma che evidentemente non accadrà.
Mai. O accadrà senza rendersene conto?
La potenzialità dell’accadere che non accade.
L’accadere che tradisce la potenzialità e accade.
Così, semplicemente.
Le tre sorelle sono in ciascuno di noi, nelle infinite sliding doors che le maschere del nostro quotidiano ci mettono costantemente davanti.
O addosso.
estratti Rassegna Stampa
1
“Le 'Tre Sorelle' di Cechov condensato, frantumato e rimontato per tre sole interpreti.
Un meccanismo elaborato e poi padroneggiato con abilità, con accortezza al limite del virtuosismo dalla regia di Meola e dalle attrici in sede di costruzione del montaggio drammaturgico scenico.
Eppure non siamo di fronte ad una prova di bravura fine a se stessa: incarnare solo nelle figure e nei corpi delle sorelle tutto il dramma cechoviano permette forse di penetrarne meglio il cuore, il nucleo sentimentale ed emotivo, il radicale pessimismo esistenziale.
Un meccanismo elaborato e poi padroneggiato con abilità, con accortezza al limite del virtuosismo dalla regia di Meola e dalle attrici in sede di costruzione del montaggio drammaturgico scenico.
Eppure non siamo di fronte ad una prova di bravura fine a se stessa: incarnare solo nelle figure e nei corpi delle sorelle tutto il dramma cechoviano permette forse di penetrarne meglio il cuore, il nucleo sentimentale ed emotivo, il radicale pessimismo esistenziale.
Non c’è una sbavatura, non c’è un istante mai, nello spettacolo, in cui il pubblico resti disorientato o non capisca quando le attrici ‘saltano’ da una scena all’altra o da un personaggio (magari di sesso diverso) all’altro.
La scrittura, quasi una coreografia, a tratti, per corpi e movimenti, è molto interessante: un significato, uno stato psicologico, un’emozione sono tradotte, magari, in un inciampo, in un’esitazione, in un ‘segno’ gestuale, in qualche cosa nel volto o nello sguardo dell’attrice.
Tutto questo è merito della regia, ma anche delle tre controllatissime, attentissime interpreti la cui prova è, alla lunga, anche toccante.”
(HYSTRIO-n.2 2019 | Francesco Tei)
(HYSTRIO-n.2 2019 | Francesco Tei)
2
“È possibile, nella rilettura di un’opera, restare fedeli all’originale e, nel contempo, stravolgerlo?
È possibile scalare le spalle dei giganti che sono i nostri autori di riferimento con la consapevolezza di restare, rispetto a loro, nani ma, insieme, sfruttando il vantaggio di una visuale, quanto meno cronologica, più elevata?
Viene da chiederselo assistendo a ‘Tre. Le Sorelle Prozorov’, nel quale la centralità delle tre attrici non è data solo dall’essere protagoniste ma, soprattutto, dall’interpretare a turno tutti i personaggi del dramma.
In uno spazio completamente vuoto il corpo di queste straordinarie interpreti si prende carico dell’intero peso scenico, così come la loro psicologia dell’impianto drammaturgico. In schiera di fronte al pubblico, con lo stesso abito bordeaux, esordiscono declamando in convinto tono marziale la prima nota di scena di Cechov; ma, nel ripeterla una seconda volta, si guardano perplesse e incerte: il salotto non c’è, neppure il sole e loro non sono per nulla vestite come descritto.
Ma vanno avanti; tutto ciò che in quel dramma è concretezza del dato scenico dovrà essere qui immaginato. In questo senso, allora, la fisicità (tra l’altro diversissima ma perfettamente bilanciata) delle attrici gioca un ruolo fondamentale: sole sul palcoscenico sono, allo stesso tempo, scena e azione.
E, infatti, l’originalità del lavoro sta proprio in questo: le attrici sono perfette nei panni delle sorelle ma queste identità si frantumano ogni qual volta vestono i panni degli altri personaggi, incarnandone i tratti fondamentali.
In uno spazio completamente vuoto il corpo di queste straordinarie interpreti si prende carico dell’intero peso scenico, così come la loro psicologia dell’impianto drammaturgico. In schiera di fronte al pubblico, con lo stesso abito bordeaux, esordiscono declamando in convinto tono marziale la prima nota di scena di Cechov; ma, nel ripeterla una seconda volta, si guardano perplesse e incerte: il salotto non c’è, neppure il sole e loro non sono per nulla vestite come descritto.
Ma vanno avanti; tutto ciò che in quel dramma è concretezza del dato scenico dovrà essere qui immaginato. In questo senso, allora, la fisicità (tra l’altro diversissima ma perfettamente bilanciata) delle attrici gioca un ruolo fondamentale: sole sul palcoscenico sono, allo stesso tempo, scena e azione.
E, infatti, l’originalità del lavoro sta proprio in questo: le attrici sono perfette nei panni delle sorelle ma queste identità si frantumano ogni qual volta vestono i panni degli altri personaggi, incarnandone i tratti fondamentali.
La portata psicologica della storia è tutta concentrata in loro.
La drammaturgia cechoviana, in generale, non è eclatante: i suoi personaggi quasi mai esplodono, i pensieri più profondi restano celati o, in caso contrario, dichiarati en passant tra una battuta e l’altra.
Una pittura ad acquerello viene da immaginare.
Meola, invece, utilizza accesi colori a tempera: l’interiorità esplode in scatti d’ira, grida, pianti.
Meola, invece, utilizza accesi colori a tempera: l’interiorità esplode in scatti d’ira, grida, pianti.
I desideri, le motivazioni sono detti apertamente e con forza.
Il desiderio di Mosca, ripetuto di continuo, urlato finanche.
C’è, qui, l’esplicitazione di ciò che lì restava sottinteso, lo svisceramento della psicologia di personaggi che restavano lì contenuti, rigorosamente bon ton, mentre qui acquistano spessore e modernità, esplicitando il dramma di tre animi imprigionati in una vita che rifiutano.
Abbiamo di fronte dei tipi umani, delle psicologie esposte, potremmo dire; le sorelle non sono più tali ma donne, persone che incarnano il dramma di una vita insoddisfacente.
Il desiderio di Mosca, ripetuto di continuo, urlato finanche.
C’è, qui, l’esplicitazione di ciò che lì restava sottinteso, lo svisceramento della psicologia di personaggi che restavano lì contenuti, rigorosamente bon ton, mentre qui acquistano spessore e modernità, esplicitando il dramma di tre animi imprigionati in una vita che rifiutano.
Abbiamo di fronte dei tipi umani, delle psicologie esposte, potremmo dire; le sorelle non sono più tali ma donne, persone che incarnano il dramma di una vita insoddisfacente.
Il dramma di Cechov è preservato, ma reso più complesso, quasi caleidoscopico, da scelte sceniche e drammaturgiche che risultano efficaci proprio nel loro essere moderne, nell’esasperare toni, gesti, azioni, reazioni.
E allora, tornando all’interrogativo di apertura, sì, questa rilettura di Tre Sorelle è capace di fedeltà ma anche di cambiamento e, anzi, proprio in questo vanno rintracciati il suo valore e la sua ricchezza.”
(PAC PaneAcquaCulture | Ilena Ambrosio)
E allora, tornando all’interrogativo di apertura, sì, questa rilettura di Tre Sorelle è capace di fedeltà ma anche di cambiamento e, anzi, proprio in questo vanno rintracciati il suo valore e la sua ricchezza.”
(PAC PaneAcquaCulture | Ilena Ambrosio)
3
“Tre attrici per le ‘Tre Sorelle’ del titolo e molto altro.
La regia di Giovanni Meola, per la riduzione del celebre testo di Cechov, sceglie intelligentemente l’idea di lasciare a Roberta Astuti, Sara Missaglia e Chiara Vitiello tutti i personaggi, femminili e maschili, del testo.
Ne deriva l’effetto di un teatro straniante che, a partire dai costumi uguali delle protagoniste, evidenzia una circolarità avvolgente che parte e ritorna al suo inizio.
La regia di Giovanni Meola, per la riduzione del celebre testo di Cechov, sceglie intelligentemente l’idea di lasciare a Roberta Astuti, Sara Missaglia e Chiara Vitiello tutti i personaggi, femminili e maschili, del testo.
Ne deriva l’effetto di un teatro straniante che, a partire dai costumi uguali delle protagoniste, evidenzia una circolarità avvolgente che parte e ritorna al suo inizio.
Un modo per sottolineare l’andamento vano di questo carillon russo dedicato alle giovani Prozorov.
Ovvero le sorelle Olga, Masha e Irina, chi mal maritata, chi invece in cerca del grande amore, tutte costrette dal destino alla monotona vita di provincia.
La celebre esortazione “A Mosca! A Mosca!” diventa così una sorta di loop, un tormentone che a più riprese riemerge in varie forme, per perdere via via sempre più senso.
Metafora esistenziale cechoviana che Meola rielabora e fa sua in un’efficace sintesi contemporanea.”
(Corriere della Sera/Corriere del Mezzogiorno | Stefano De Stefano)
(Corriere della Sera/Corriere del Mezzogiorno | Stefano De Stefano)
4
“Lo spettacolo si presenta in un interessante abito ‘in-convenzionale’, cucitogli addosso da Giovanni Meola, che lo ha anche diretto.
L’intenzione di operare sul contenuto dell’opera, per poi analizzarlo per frammenti di pensiero, riproponendone una rielaborazione diversa anche solo per le dimensioni delle personalità, è chiara fin dal principio.
Fra tutti i desideri delle tre sorelle, ciondola a passi pesanti una sola domanda: perché no?
L’intenzione di operare sul contenuto dell’opera, per poi analizzarlo per frammenti di pensiero, riproponendone una rielaborazione diversa anche solo per le dimensioni delle personalità, è chiara fin dal principio.
Fra tutti i desideri delle tre sorelle, ciondola a passi pesanti una sola domanda: perché no?
Perché soffrono invece di agire?
Cosa rende le loro ambizioni solo utopie?
Ed è su questi presupposti che si struttura una trama non complessa ma estremamente profonda: la mestizia della condizione psicologica, le aspirazioni tarpate, i sogni che non conoscono la propria strada sono i veri protagonisti di una storia dove lo spettatore subisce il riflesso di un senso di prigionia all’interno di una scatola ben sigillata da dove è chiaro che non si può uscire.
Singolare la scelta di lasciare interpretare tutti i personaggi di questa triste vicenda alle sole attrici: in questo modo non c’è più differenza fra donna o uomo, ma si saltella da un animo all’altro.
Singolare la scelta di lasciare interpretare tutti i personaggi di questa triste vicenda alle sole attrici: in questo modo non c’è più differenza fra donna o uomo, ma si saltella da un animo all’altro.
Il dramma appare frammentato già dal suo incipit senza però mai perdere un assetto che renda alla storia un’ovvia comprensione.
La messinscena punta sul movimento: le tre attrici occupano lo spazio scenico, riempiendo anche il vuoto lasciato dalla scenografia, a tal proposito volutamente inesistente.
Le tre, e tutta la coda dei personaggi che orbita loro intorno, esplorano ogni angolo del palco ed ogni posizione possibile utile alle loro continue metamorfosi, trascinando il pubblico nella loro grigia dimensione, dalla quale sembra non si possa evadere.”
(la COOLtura | Letizia Laezza)
(la COOLtura | Letizia Laezza)
5
“Un Cechov, quella di Meola, qui essenzializzato, per così dire, disossato, scarnificato, offerto, come avrebbe detto Carmelo Bene, per sottrazione, affidando a tre brave e intense attrici, rosso vestite sul nudo palcoscenico, il compito di recitare il testo, scambiandosi le rispettive parti delle tre protagoniste ma anche le battute degli altri personaggi.
Interessante, certo, l’idea di una sintesi drammaturgica, per rendere più esplicita quella provincia dell’anima continuamente lamentata dalle tre sorelle, qui quasi ingabbiate (e non solo metaforicamente) nel loro parlarsi addosso, in un dialogo senza effettivi destinatari. Una sintesi drammaturgica condotta sul filo di uno straniamento non privo di pathos, per esprimere quell’opprimente consapevolezza della mancanza, nella costante ricerca di una ragione di vita che rende, ancora e sempre, Cechov nostro contemporaneo.”
(In Scena online | Francesco Tozza)
Interessante, certo, l’idea di una sintesi drammaturgica, per rendere più esplicita quella provincia dell’anima continuamente lamentata dalle tre sorelle, qui quasi ingabbiate (e non solo metaforicamente) nel loro parlarsi addosso, in un dialogo senza effettivi destinatari. Una sintesi drammaturgica condotta sul filo di uno straniamento non privo di pathos, per esprimere quell’opprimente consapevolezza della mancanza, nella costante ricerca di una ragione di vita che rende, ancora e sempre, Cechov nostro contemporaneo.”
(In Scena online | Francesco Tozza)
6
“L'incipit è dirompente: la recitazione entusiasta delle didascalie iniziali del primo atto del dramma di Cechov viene ripetuta per tre volte consecutive, aggiungendo o togliendo di volta in volta un gesto, un'espressione, una risata, in quanto la drammatizzazione non corrisponde alla realtà scenica. Che ciò che viene rappresentato sia un gioco è chiaro allo spettatore quanto constatare che un ricordo non è mai lo stesso per le diverse persone che lo hanno vissuto. Le tracce musicali rock ed elettroniche post-punk accompagnano una performance globale e complessa, che non concede distrazioni alla platea, e per la quale non è mai messo in dubbio il ruolo che sta interpretando l'una o l'altra attrice. Il trio da solo colma ogni antro della scena, esibendo la propria attitudine ma anche mostrando la maestria del regista e drammaturgo Giovanni Meola: rimaneggiando il testo originale, il direttore artistico della compagnia indipendente Virus Teatrali trova una collocazione sulla scena per ogni sentimento, lasciando emergere l'essenza dell'opera cechoviana anche nelle sue parole non dette. Il carillon finale delle tre sorelle che riprendono a giocare al tocco dimostra la resa verso la ciclicità della vita che cambia per restare sempre uguale a se stessa.”
(Il Gufetto | Francesca Faiella)
foto di scena
recensione